Di fronte alle sfide della società globale in profonda trasformazione, le università devono affrontare un processo di cambiamento per riconquistare un ruolo di traino del mutamento sociale. Una università come la nostra, con le sue grandi potenzialità, è in grado di offrire analisi culturali, scientifiche e sociali; può essere protagonista della ricerca più avanzata; può interpretare le sfide del presente e del futuro; deve offrire soluzioni innovative per l’educazione delle nuove generazioni; deve impegnarsi per offrire occasioni di crescita del tessuto sociale di cui è parte.
Dobbiamo metterci nelle condizioni di assumere pienamente la posizione che ci compete nella società. Per farlo occorre partire dalla coscienza di quello che siamo: una comunità accademica ampia, formata di più di ottocento docenti di ottimo livello, impegnati in tutti i settori della didattica e della ricerca. Accanto ai docenti possiamo contare su alcune centinaia di unità di personale applicato ai vari settori dell’amministrazione, su tecnici competenti, efficienti e aperti all’innovazione professionale, e su bibliotecari (che conosco molto bene) che quanto a professionalità non hanno nulla da invidiare a quelli delle più prestigiose università straniere.
Abbiamo circa 35.000 studenti iscritti ai nostri numerosi corsi di studio. Si tratta di una grande energia, che occorre valorizzare e integrare nelle politiche dell'Ateneo.
A differenza degli altri due grandi atenei romani, e della grande maggioranza delle università italiane medio-grandi, non abbiamo dipartimenti di medicina. Certo, è una mancanza, ma questa assenza può essere trasformata in un fattore di forza, perché può consentirci di impostare il nostro lavoro su una base di parità fra i settori che è difficile conservare dove Medicina, con i suoi servizi sanitari, finisce per catalizzare gran parte dell’attenzione e dei finanziamenti.
Per sfruttare questa nostra peculiarità, è necessario creare un clima di proficua collaborazione fra tutti i colleghi che generosamente si impegnano per l’Ateneo, per rinnovare un sentimento di appartenenza che induca a considerare come propri i successi conseguiti dai colleghi delle altre aree, contribuendo perciò anche a risolvere le criticità altrui.